Cos’è la Rabbia?
Prima di stabilire quando è problematica, è bene partire da una chiara definizione di rabbia.
Vediamo se quella cosa che temiamo sia davvero un problema, tanto da ritrovarci a leggere questo articolo, in realtà non sia una normale condizione in cui tutti prima o poi ci ritroviamo.
Ebbene: cos’è la rabbia?
La rabbia è una delle emozioni innate. Rientra tra le emozioni primarie, quelle che condividiamo con gli animali per intenderci.
In quanto tale è adattiva: la sua funzione è quella di difenderci da aggressori, difendere noi, le persone cui teniamo e coloro che percepiamo indifesi da torti subiti.
Nel mondo evoluto, ove non viene messa in pericolo da altri la nostra sopravvivenza, difendere noi stessi significa il più delle volte difendere i nostri obiettivi: ci arrabbiamo con chi valutiamo un bastone nelle ruote rispetto al raggiungimento dei nostri scopi e desideri.
L’intensità della Rabbia
Ma non basta: l’intensità della rabbia aumenta se percepiamo che colui che si sta frapponendo tra noi ed il nostro obbiettivo lo fa con intenzione, “apposta contro di noi”.
E così ci arrabbiamo con il collega che sembra rubarci la promozione, l’amica che riceve l’interesse del ragazzo che vogliamo conquistare, lo sconosciuto che si mette in fila davanti a noi facendoci così uscire dopo dalla posta e arrivare in ritardo all’impegno successivo; il tizio che ci taglia la strada rischiando di farci fare un incidente (scopo: rimanere indenni nella giornata, non avere contrattempi, non rimanere senz’ auto per diversi giorni…), se ci mancano di rispetto… Situazioni di numero potenzialmente infinito: possiamo arrabbiarci in tutte le occasioni in cui stabiliamo che l’altro ci ha causato un torto, un danno o anche solo un lieve fastidio.
E se non c’è un altro con cui prendersela? I colpevoli del torto possiamo essere noi stessi, per una nostra incapacità, ingenuità o disattenzione; o altre volte il capro espiatorio può diventare qualcosa di più grande ed indefinito: Dio, il governo, il sistema globale, la sfortuna… o ancora una persona vicina, dalla quale ci aspettiamo comprensione e quindi ci permetterà quantomeno uno sfogo.
Cosa succede al corpo quando ci arrabbiamo?
A livello fisico il corpo si prepara a combattere, a reagire per ristabilire la situazione allo stato precedente al torto o quantomeno a punire il colpevole in cerca di un’amara consolazione (perché tanto in questo caso il torto rimane, no?).
E così gli arti si contraggono. Per farlo il cuore deve portare il sangue con l’ossigeno necessario ai muscoli e batterà più spesso, avvertiamo calore, potremmo persino sudare, il respiro si fa più pesante per inalare quell’ossigeno necessario ad energizzare i muscoli.
A questo stato fisiologico di preparazione all’azione (e-moveo, tipico di ogni emozione) si accompagna un‘espressione corporea e facciale: i pugni si serrano così come la mandibola e i denti, fronte e sopracciglia si aggrottano, il busto si propende in avanti e diventiamo “rossi dalla rabbia”.
E che facciamo? Gridiamo, imprechiamo, sbattiamo porte, tiriamo pugni sul tavolo, lanciamo cose e magari alcuni arrivano a mettere in atto una vera e propria aggressione fisica.
Ed ecco che questo scenario, l’ultimo in particolare, ha fatto sì che, in una società evoluta ove il comportamento violento non è accettabile, la rabbia assuma i colori di un’emozione negativa.
Errore! Dov’è l’errore? Nel confondere l’emozione con il comportamento!
La rabbia è di per sé adattiva, ricordate? Ci segnala che un nostro scopo viene ostacolato (un obiettivo professionale, il rispetto, la giustizia…).
In quanto tale, riconoscere quest’emozione può aiutarci ad incanalare l’energia che il corpo libera per trovare un modo utile ed accettabile socialmente e ai nostri occhi per raggiungerlo lo stesso.
La rabbia diviene patologica quando:
- non siamo in grado di mettere in atto un’azione proporzionata al torto e al contesto reale (diverso dal percepito!), agendo così in modo impulsivo ed incontrollato, magari creando ulteriori danni a noi e/o all’altro
- genera una compromissione delle relazioni interpersonali
- Il malessere transitorio viene mantenuto a causa di un conseguente prolungamento della situazione spiacevole, il più delle volte con un’aggiunta di altre emozioni: senso di colpa, rammarico, frustrazione per aver reagito male ed essere comunque ancora a bocca asciutta rispetto al nostro desiderio o scopo.
A questi casi ne aggiungo uno che diversi pazienti sottovalutano o addirittura nemmeno riconoscono:
- quando ritenendola “cattiva” la si reprime, in una buffa ma per nulla insolita fusione tra avere/aver fatto ed essere (“se agissi sull’onda della rabbia in modo cattivo allora io sarei cattivo/a”).
In qualsiasi caso, sia quello del mancato riconoscimento di un proprio vissuto rabbioso o quello di un’ impulsiva reazione aggressiva, se non abbiamo appreso a gestirla ci travolgerà.
Come dice il detto “ci si fa il fegato marcio” e tanto meno ci stiamo impegnando a raggiungere il nostro scopo!
Se hai ancora dubbi su questo vissuto emotivo, puoi richiedere maggiori informazioni direttamente alla terapeuta.