Cos’è il DSM
Premesso che per DSM si intende il Manuale Diagnostico dei disturbi mentali redatto dall’APA (Associazione di Psichiatria Americana); da tempo i membri preposti alla revisione della precedente edizione (del 1994) dibattevano circa una ridefinizione dei disturbi di personalità e dei loro criteri.
Se possiamo definirle “fazioni”, il dibattito verteva tra i sostenitori di una visione categoriale del disturbo (ovvero tramite la presenza o assenza di un determinato numero di criteri) e coloro che appoggiavano una visione dimensionale, che tenesse conto del vissuto soggettivo del singolo individuo e di un più ampio spettro di possibile collocazione della diagnosi che si muovesse lungo il continuum personalità normale e patologica.
Disturbi di personalità nel DSM IV
Nel DSM IV i disturbi di personalità erano concettualizzati secondo due caratteristiche: una definizione e la distinzione di 10 possibili disturbi di personalità basata sulla presenza di un numero specifico per singolo disturbo di criteri (quindi categoriale) a cui si aggiungeva un’undicesima, relativa a quei pazienti che manifestavano tratti appartenenti alla diverse personalità ma non sufficienti per poter emettere diagnosi di uno dei 10 precedenti.
Il disturbo di personalità era definito come un pattern pervasivo, stabile e male adattivo di percezione e comportamento che deviava dalle norme culturali del paziente stesso.
Le deviazioni possono consistere in modalità di pensare, sentire sul piano emotivo e intrattenere relazioni interpersonali, nonché problemi di controllo degli impulsi.
Tali caratteristiche dovevano essere presenti già in adolescenza e non devono, nemmeno secondo il DSM V, essere dovute ad abuso di sostanze, condizioni mediche o altri disturbi mentali.
La seconda caratteristica per poter fare diagnosi di disturbo di personalità secondo la precedente versione del DSM era distinguere tra 10 tipi di disturbo: paranoide, schizoide, schizotipica, narcisistico, borderline, istrionico, evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo, depressivo e il non altrimenti specificato sopracitato.
Quel che accadeva nella pratica clinica è che spesso i pazienti soddisfacevano contemporaneamente più criteri appartenenti ad uno stesso disturbo ma anche ad altri.
Dunque potremmo dire si sovrapponessero spesso. Oltre a problematiche inerenti l’eterogeneità e la comorbilità delle diagnosi dei cosiddetti disturbi di asse II, nella classificazione del DSM IV mancava un confine chiaro tra personalità normale e patologica, così come vi era scarsa validità discriminante tra disturbi.
DSM V
Il team di esperti che hanno redatto il DSM V, ha cercato di sopperire a questi problemi.
Di fatto la classificazione categoriale è rimasta pressoché invariata, ma la sezione III della versione recente del manuale affianca un modello alternativo di diagnosi, basato su un approccio ibrido dimensionale-categoriale.
Innanzitutto va premesso vi sia una nuova definizione di disturbi di personalità che intende per essi non più un pattern pervasivo di pensiero, emozioni e comportamenti, bensì “un fallimento adattivo che include un’alterazione del senso di identità ed il fallimento nello sviluppo di un efficace funzionamento interpersonale” (Criterio A).
Simile al DSM IV, in questo criterio vengono specificate meglio le caratteristiche della disfunzionalità del paziente con disturbo di personalità.
Diagnosi disturbo di personalità
Nella nuova edizione del DSM, per farne diagnosi occorre sia presente non solo una compromissione del funzionamento della personalità, ma anche tratti di personalità identificati come patologici.
Per quanto concerne il primo elemento, per compromissione del funzionamento devono essere presenti deficit nel dominio del Sé che includono:
- un’identità scarsamente integrata e una scarsa integrazione del concetto di sé (es. cambiamenti negli stati del sé, mancanza di un’autostima stabile, scarsi confini tra la propria identità e l’altrui)
- una bassa autodirezionalità (ad esempio incapacità di perseguire obiettivi significativi sia a breve sia a lungo termine)
E deficit nel dominio delle relazioni interpersonali, a sua volta valutato sulla base di:
- empatia compromessa, a partire dalla difficoltà di comprendere le esperienze e le motivazioni altrui, così come di accettare e/o tollerare punti di vista differenti dal proprio
- compromissione dell’intimità, ad esempio per incapacità di mantenere nel tempo relazioni interpersonali solide e positive, così come di nutrire un desiderio di vicinanza con gli altri.
Oltre a queste componenti, ripetiamolo: livello di gravità di compromissione del funzionamento personale sulla base delle compromissione delle capacità interpersonali oltre che del sé; per poter fare diagnosi di disturbo di personalità si valutano ulteriori 4 componenti:
- l’identificazione in un formato narrativo di uno specifico disturbo o tipo di personalità (ridotti a 6 anziché i 10 del DSM IV), che combina i deficit tipici del sé con il funzionamento interpersonale ed i tratti specifici dell’individuo. Ciò avviene attraverso lo stabilire il dominio di appartenenza (cinque di ordine più ampio) all’interno dei quali vi è una costellazione di 25 tratti di ordine inferiore (per un totale di 25 tratti più specifici) descrittivi del disturbo. (Criterio B)
- Come nel DSM IV le caratteristiche della personalità devono essere stabili nel tempo e nelle situazioni (Criterio C)
- devono distinguersi da quelle culturalmente ed evolutivamente normative (Criterio D)
- infine non deve trattarsi di una condizione dovuta a sostanze o ad altre condizioni mediche (Criterio E).
I cinque domini identificati nel DSM V, si caratterizzano ciascuno per una polarità opposta, all’interno di questi è possibile descrivere ogni paziente attraverso 25 sfaccettature più specifiche, derivanti da tratti già presenti in letteratura.
I 5 domini sono: affettività negativa versus stabilità emotiva, distacco versus estroversione, antagonismo versus disponibilità, disinibizione versus coscienziosità, psicoticismo versus lucidità mentale (similmente al Modello dei 5 Fattori).
I 6 disturbi di personalità mantenuti:
Per quanto concerne gli specifici disturbi di personalità, nella nuova edizione del DSM troviamo il disturbo evitante, borderline, antisociale, ossessivo compulsivo e schizotipico; ciascuno con un proprio set di criteri ed una descrizione narrativa, in linea con il nuovo modello diagnostico proposto.
- il tipo evitante descrive quelle persone che sono inibite nel conoscere e consolidare il rapporto con gli altri, a causa della paura di essere umiliati e rifiutati
- Il disturbo narcisistico si caratterizza per un’autostima fragile ed instabile. Per compensare l’autostima le strategie utilizzate sono quelle della ricerca di attenzione ed approvazione oppure un senso di grandiosità
- la personalità borderline mostra un’intensa emozionalità, impulsività, sensazioni di vuoto e paura del rifiuto e dell’abbandono
- Il disturbo antisociale è caratterizzato da grandiosità e da una tendenza pervasiva ad avvantaggiarsi nel rapporto con gli altri;
- il tipo ossessivo-compulsivo è iperfocalizzato sui dettagli ed è estremamente testardo, rigido così come lo sono le sue convinzioni morali
- le personalità schizotipiche infine sono caratterizzate da un aspetto ed uno stile di pensiero bizzarri
La riduzione del numero di disturbi specifici riconosciuti nel DSM V e la loro specifica descrizione attraverso i 25 tratti specifici insieme con la gravità di compromissione nelle aree del sé e dei rapporti interpersonali, sono state nell’insieme la proposta alternativa del DSM V per ovviare al problema della sovrapposizione diagnostica che spesso si riscontrava nel fare diagnosi con il DSM IV.
Ancora non è chiaro se nella pratica clinica tale proposta abbia riscosso successo e se i colleghi stiano sostituendo il loro modo di fare diagnosi attraverso la IV revisione del manuale con la nuova.
Gli studi rilevano in quest’ultima un’alternativa sostanzialmente valida.
Certo scardinare le vecchie abitudini richiede tempo, e parlo per esperienza personale, ma tutto sommato non mi sembra si tratti di una transizione poi tanto radicale.
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