I disturbi di personalità: cosa sono?
I disturbi di personalità consistono in un partner inflessibile, ricorrente e pervasivo relativamente al modo di pensare (percepire sé, gli altri e gli eventi), provare emozioni, comportarsi, relazionarsi e controllare gli impulsi, che devia dalle norme culturali dell’individuo.
Ciascuno di noi ha una personalità, rappresentata da comportamenti tendenzialmente ricorrenti che applichiamo in modo automatico alle più svariate situazioni, in grado di distinguerci gli uni dagli altri.
Nel complesso la visione del mondo, di noi, degli altri e del modo in cui entrare in rapporto con gli altri, diviene nel corso degli anni parte del nostro modo di essere.
Potremmo definirle come scorciatoie che ci permettono di reagire rapidamente nelle relazioni interpersonali e non, anziché doverci soffermare ogni volta a valutare con chi stiamo avendo a che fare, in quale contesto ci troviamo e cosa vorremmo accada in risposta al nostro comportamento.
Ciononostante, se il contesto, il ruolo nostro o dell’altro e l’importanza per noi della posta in gioco lo richiedono, scegliamo quale comportamento sia meglio adottare a dispetto del nostro abituale stile. Ci avvaliamo dunque di una capacità di adattamento.
Ebbene, nel disturbo di personalità tali tratti sono disfunzionali al punto da essere considerati un disturbo e non semplici tratti caratteriali come tutti abbiamo.
L’individuo con disturbo di personalità fallisce costantemente nell’adattarsi, non sceglie come comportarsi: nella maggior parte dei casi reagisce rigidamente in modo inefficace ed inappropriato, differentemente da quanto la maggior parte delle persone farebbe.
Tali modalità di percepire, reagire e relazionarsi agli altri ed alle situazioni sono inflessibili e impattano negativamente nel modo in cui affrontano la vita quotidiana, sulle emozioni che più spesso provano e sulla qualità dei rapporti interpersonali, rendendoli insoddisfacenti tanto per sé quanto per gli altri in rapporto con loro.
L’area in cui riscontrano maggiori difficoltà è proprio quella dei rapporti sociali: con i famigliari, gli amici, i colleghi… Gli altri tendono a nutrire risentimento nei loro confronti e quindi, nel medio lungo termine ad evitarli.
Se immaginiamo ad esempio di interagire con un individuo che fatica ad entrare in intimità, mostra scarsa o nulla empatia, non sa cooperare con gli altri e si dimostra incapace di comprendere il punto di vista e le ragioni altrui, è facile immaginarci anche la facilità con cui il rapporto divenga ben presto conflittuale.
Come diagnosticare un disturbo di personalità?
Lo psicoterapeuta pone domande al paziente rispetto alla storia evolutiva, al come normalmente pensa, si sente e si comporta nella vita di tutti i giorni.
Sulla base del riscontro di schemi ricorrenti di pensiero e comportamento disadattivi, la dottoressa utilizza i criteri diagnostici del manuale di riferimento.
Posto che tutti abbiamo qualche tratto descritto nei manuali in modo più o meno evidente, affinché si parli di disturbo è necessario che i tratti siano non solo pervasivi, ma che determinino una significativa compromissione nelle situazioni personali, sociali e/o occupazionali.
Devono inoltre essere escluse altre possibili cause dei sintomi, cioè altre condizioni mediche, altri disturbi mentali, l’abuso di sostanze e trauma cranico.
Diagnosticare disturbo della personalità
Si emette diagnosi di disturbo di personalità quando il pattern comportamentale è conclamato in età adulta; nel caso di pazienti con età inferiore ai 18 anni, deve essere presente da almeno un anno (ad esclusione del disturbo di personalità antisociale che può essere diagnosticato solo in pazienti over 18).
I disturbi di personalità appaiono pertanto in tarda adolescenza o giovane adultità, per poi divenire stabili nel tempo. I dati stimano che sino al 10% della popolazione abbia un disturbo di personalità.
Disturbi di personalità: quali sottotipi?
Preciso qui che la versione più recente del DSM V (Diagnostic and Statistical Manual – 5° edizione, prodotto dall’ American Psychiatric Association), ha ridotto i disturbi di personalità a 6 sottotipi: disturbo di personalità borderline, ossessivo-compulsivo, evitante, schizotipico, narcisistico, antisociale e Tratto Specifico.
Secondo il precedente manuale diagnostico (DSM-IV) i disturbi di personalità erano 10, raggruppati in 3 macrocategorie che di seguito riporto per esaustività:
CLUSTER A |
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Caratterizzato da personalità con tratti strani o eccentrici, persone per lo più tendenti all’isolamento sociale. |
Disturbo di personalità paranoide: persone con questo disturbo sono incapaci di sviluppare relazioni interpersonali intime. Sono spesso sospettose senza ragione e non si rendono conto della loro responsabilità nel coinvolgere gli altri in rapporti conflittuali. Sono pertanto facili prede della rabbia verso gli altri, poiché tendono ad attribuire agli altri i loro sentimenti e pensieri paranoidi. |
Disturbo di personalità schizoide: queste persone appaiono fredde, distaccate, estremamente introverse ed hanno un’intensa paura dell’intimità con gli altri, quindi tendono a chiudersi in se stesse e ad isolarsi. Si tratta di persone assorte nel loro stesso pensiero, motivo per cui si autoescludono dall’entrare in contatto ed intimità con gli altri. La loro espressività emotiva è notevolmente coartata. |
Disturbo di personalità schizotipica: le persone affette da questo disturbo appaiono molto simili al sottotipo schizoide, ma mostrano anche una modalità di pensiero e percezione distorta ed un’abilità di comunicazione inefficace. |
CLUSTER B |
Raggruppa individui con comportamenti tipicamente drammatici, che hanno difficoltà nel regolare le proprie emozioni. |
Disturbo di personalità borderline: si tratta di persone che non hanno una percezione di se stesse e della propria identità stabile, se non ritenersi nel complesso inadeguate. Ricercano l’accudimento da parte degli altri, anche in modo manipolatorio e nutrono spesso vissuti di abbandono, vuoto e rabbia. Cambiano facilmente idea, sono impulsive, con difficoltà nel mantenere relazioni stabili così come l’umore cambia facilmente. La loro visione del mondo è nel format bianco/nero, aspetto che acuisce l’intensità dei loro vissuti |
Disturbo di personalità antisociale: questi individui sono tipicamente disinteressati ai sentimenti e diritti altrui, alle regole sociali così come sono indifferenti a ciò che gli altri pensano di loro. Non sentono colpa né rimpianti, per cui sono facili ad agire in modo “antisociale” come il nome suggerisce. |
Disturbo di personalità istrionico: le personalità istrioniche tendono a dare estrema importanza all’apparenza e sono in constante ricerca di attenzione. Tendono ad assumere atteggiamenti drammatici nelle situazioni tali da apparire esagerati e superficiali agli occhi altrui |
Disturbo di personalità narcisistica: si tratta di persone che ostentano alta autostima e nutrono sentimenti di superiorità rispetto agli altri, ambendo ad essere ammirati. Per questo sono estremamente sensibili al giudizio, alle critiche e agli errori |
CLUSTER C |
Consiste dei disturbi di personalità con tratti ansiosi o inibiti |
Disturbo di personalità dipendente: si tratta di persone che necessitano degli altri per validare i propri obiettivi, se non assumono addirittura i bisogni altrui come propri. E’ per loro difficile compiere decisioni, poiché permettono agli altri di farlo al posto loro. Per questo motivo sono deficitarie nel senso di autonomia, sicurezza e capacità di stare sole con se stesse, situazione che le lascia con un vissuto di ansia ed abbandono |
Disturbo di personalità evitante: è una persona molto sensibile al rifiuto ed al giudizio negativo, tanto da evirarlo al punto da astenersi dall’entrare in rapporto con gli altri. I contesti sociali sono infatti fonte di preoccupazione ed ansia. Nel complesso ha una bassa autostima. |
Disturbo di personalità ossessivo compulsivo: coloro che soffrono di questo disturbo mal tollerano i cambiamenti e nutrono ansia innanzi a scelte e in tutte le situazioni che sono fuori dal loro controllo. Amano l’ordine e l’organizzazione e si irritano facilmente nei rapporti interpersonali che guastano la loro immodificabile comfort zone. |
Psicoterapia dei disturbi di personalità
Data la natura del disturbo della personalità, è difficile che chi ne soffre riconosca di avere un disturbo e ricerchi un trattamento psicoterapeutico. Semplicemente non ne sono consapevoli e tendono ad imputare le loro difficoltà agli altri.
Ciononostante la maggior parte di questi disturbi presenta comorbilità con altre patologie, tipicamente disturbi di ansia, depressione, uso di sostanze/alcool o disturbi alimentari.
Per questo motivo, decidono di rivolgersi ad un terapeuta lamentando uno o più di questi ultimi o, più in generale, quando le richieste sociali e situazionali aumentano (ad esempio per difficoltà nella relazione di coppia o per forte stress nel contesto lavorativo).
Di fatto, la compromissione dei rapporti interpersonali è tale da produrre in loro un generale senso di insoddisfazione esistenziale.
Trattandosi di aspetti caratteriali, più stabili nell’individuo, i disturbi di personalità sono difficili da trattare e quindi richiedono una psicoterapia di lungo termine.
Inoltre, non va sottovalutato un altro fattore di difficoltà al trattamento: alcuni di loro mostrano tratti che impediscono al paziente di adottare un approccio collaborativo alla terapia stessa, divenendo un fattore di drop out (abbandono) del percorso psicoterapico stesso.
Tuttavia numerose evidenze mostrano che diversi approcci psicoterapeutici possono risultare utili a ridurre la sintomatologia e migliorare nel complesso la qualità di vita.
Va detto che questi pazienti possono aver bisogno di provare diversi approcci e diversi terapeuti prima di trovare quello più efficace per loro.
Un percorso psicoterapico avrà come primo obiettivo la riduzione degli eventuali sintomi ansiosi o depressivi. Parallelamente, per poter trattare il disturbo di personalità, occorrerà aiutarli a sviluppare un insight su questa loro patologia.
Ulteriori target del lavoro psicoterapico saranno le relazioni interpersonali, al fine di migliorarne la qualità rieducandoli a relazionarsi in modo più funzionale con gli altri.