Il disturbo depressivo maggiore
Il disturbo depressivo è un disturbo dell’umore caratterizzato da tono dell’umore deflesso persistente (presente cioè per la maggior parte del giorno e quasi tutti i giorni) per almeno due settimane consecutive, con perdita di interesse e piacere nelle attività.
L’inflessione del tono dell’umore è tale da influenzare negativamente la normale qualità di vita sociale ed occupazionale dell’individuo.
Detto altrimenti il tono dell’umore che per tutti noi è flessibile e quindi passibile anche di tristezza, nelle persone che soffrono di questo disturbo perde di elasticità: rimane sempre basso e non è modificabile da eventi che normalmente consideriamo piacevoli.
E’ così che ogni attività perde di interesse, la motivazione viene meno e la qualità della vita di tutti i giorni ne risulta compromessa.
Sintomi depressione e diagnosi
Per diagnosticare un disturbo depressivo maggiore occorre che ai precedenti due sintomi sopra citati, vi siano almeno altri 3 tra i seguenti:
- disturbi del sonno (ipersonnia o insonnia)
- rallentamento motorio o, al contrario, irrequietezza
- calo dell’appetito con perdita di peso o al contrario aumento di entrambi (con una variazione del 5% rispetto al peso ponderale)
astenia, faticabilità e sensazione di mancanza di energia in assenza di attività svolta - riduzione della capacità di concentrarsi e pensare, così come di prendere decisioni
- pensieri di autosvalutazione e/o sentimenti di colpa eccessivi ed inappropriati
- pensieri ricorrenti di morte (paura di morire) o suicidari, in assenza o presenza di pianificazione
La sintomatologia non è dovuta all’uso di sostanze né ad altre condizioni mediche.
La persona che ne soffre nutre sentimenti di tristezza, vuoto o disperazione e non mostra l’interesse per quelle stesse attività che in precedenza lo motivavano o le davano piacere.
Può essere facile al pianto o a lamentarsi, sentirsi stanca, affaticata e demotivata.
L’individuo depresso non per forza dichiara la propria tristezza, ma sono i suoi atteggiamenti ed espressioni a mostrarlo.
Non di rado dichiarano altri disturbi. Si lamentano di malesseri fisici, di ansia o irritabilità, di essere solo un po’ “giù di corda” o “spenti”.
Questo perché i sintomi della depressione possono essere molto subdoli.
C’è chi imputa il proprio malessere a stress, nervosismo o a fattori esterni, quali problemi lavorativi o famigliari.
Allo stesso modo sottostimano la perdita di piacere ed interesse nelle attività con un “non me ne curo più”, così come rispetto all’appetito possono prediligere solo alcuni cibi.
Più i sintomi sono evidenti maggiore è la gravità del disturbo.
In tali casi allora la persona è facile al pianto, appare evidentemente spenta, ha interrotto i contatti sociali, ha perso o ha assunto peso, dorme troppo, si comporta in modo estremamente irrequieto o al contrario rallentato, si distrae facilmente e dichiara stanchezza in assenza di attività fisica.
La perdita di interesse può essere tale da inficiare la cura dell’igiene personale o persino di quella delle persone intorno a loro da accudire (bambini, animali domestici o altri cari).
Sul piano espressivo, gli occhi possono apparire spenti e lucidi, la fronte corrugata, i lati delle labbra sono rivolti verso il basso, le spalle sono abbattute e il contatto visivo con altre persone o oggetti intorno a lei è ridotto. I movimenti corporei risultano diminuiti, la parlata è lenta, dal tono basso e di scarse parole.
La sintomatologia impedisce alla persona che l’accusa di poter mantenere le proprie attività e le relazioni sociali come sempre, ritirandosi sempre più in un isolamento ove il tempo scorre uguale a se stesso, infinito.
Se anche prova ad impegnarsi in qualche attività, questa risulta faticosa, difficile da portare a termine, sino alla rinuncia o, anche quando portata a termine, non foriera di piacere o soddisfazione nella riuscita.
Secondo uno dei principali autori della psicoterapia cognitiva (Beck), nella depressione risiede una forte componente cognitiva.
Tra i sintomi infatti vi sono una serie di pensieri a contenuto negativo relativamente a sé, al mondo e al futuro (definita dall’autore triade cognitiva).
L’individuo depresso pensa di non valere a nulla, di aver fallito, che la vita non abbia più alcun senso, che non vi siano speranze per il futuro, che non solo non andrà meglio ma anzi peggio.
Crede che è tutta colpa sua, della sua incapacità, difettosità o indegnità. Percepisce se stesso come inutile e la sua condizione come senza soluzione e senza fine.
A meno che non giunga a pensare alla morte come ad un sollievo e quindi al suicidio come ad una soluzione.
Beck riassume questi aspetti nel termine di schemi cognitivi con contenuti di perdita, mancanza di speranza ed autocritica.
Gli schemi fungono da filtro nella visione delle esperienze di vita dell’individuo, tale per cui le esperienze saranno vissute come confermanti gli schemi.
Oltre al contenuto dei pensieri, la modalità con cui questi si sviluppano è rallentata e ripetitiva (ruminazione depressiva).
Il depresso ripercorre gli stessi pensieri più e più volte, è totalmente assorbito in essi e contemporaneamente diviene più indeciso nelle scelte, fatica a pensare ad altro e a concentrarsi in altro.
Gli schemi cognitivi inerenti il sé, il mondo ed il futuro, con i paralleli sintomi cognitivi (difficoltà a concentrarsi e decidere e ruminazione), comportamentali (disturbi del sonno e dell’appetito), affettivi (umore deflesso e riduzione delle attività) si aggiungono o si acuiscono rispetto allo stato pre-episodio della persona e la rendono vulnerabile a successivi episodi.
Ciò significa che se non trattata, la depressione persiste nel tempo ed è a rischio recidive. Si tratta quindi di un disturbo ad andamento cronico e ricorrente.
Consideriamo inoltre che in tutti noi contesti determinati possono attivare ricordi con le emozioni ad esso associate, così come una determinata emozione può fungere da filtro per la selezione dei ricordi stessi e la modalità di pensiero.
In chi ha sofferto di depressione tali meccanismi sono fautori di emozioni spiacevoli e pensieri negativi, divenendo fattori di rischio, insieme alla ruminazione, per future ricadute.
Dati sulla depressione
Il primo episodio sembra insorgere principalmente intorno ai 25 anni, ed in genere è dovuto ad un episodio facilmente identificabile (lutti o episodi che la persona valuta come fallimenti importanti ed inaccettabili), ma con l’avanzare dell’età la frequenza degli episodi può aumentare e identificarne la causa diviene sempre più difficile, trattandosi il più delle volte di modalità di valutazione degli eventi che la maggior parte delle persone non farebbe.
Si stima che per 2 individui su 5 il processo di guarigione avvenga a partire da 3 mesi dopo l’esordio, mentre 4 su 5 entro un anno.
Inoltre Ogni anno in America il 7 % della popolazione ne soffre, con maggior prevalenza in presone tra i 18 e 29 anni (fonte APA).
In Italia risulta essere il disturbo mentale più diffuso: il 5,4 % ne soffre e al crescere dell’età aumenta la prevalenza (6% tra i 35 ed i 64 anni, sino al 15 % circa dopo i 65).
A maggior rischio risultano essere persone con un basso livello di istruzione e disoccupate (secondo le fonti ISTAT, 2018).
A livello globale la depressione maggiore colpisce soprattutto il genere femminile.
Il tasso di suicidio è pari a 6 su 100mila italiani (meno della media europea, di 11 su 100mila, e di quella Americana , 15 su 100mila).
Il rischio suicidio sembra essere maggiore invece negli uomini e nei più giovani tra i 20 ed i 34 anni.
Le cause del disturbo depressivo maggiore
Come detto in precedenza, il primo episodio è scatenato in genere da un evento che la persona percepisce come un fallimento personale inaccettabile.
Questo implica, secondo la teoria cognitiva, che un evento non sia compatibile con la visione di sé, del mondo e/o degli altri con cui ha sviluppato l’immagine di sé o in cui le strategie con cui si muovono nel mondo siano risultate fallimentari.
In quest’ottica anche un evento positivo può scatenare un episodio depressivo! Un esempio è la nascita di un figlio, per cui il senso di libertà viene meno.
Ma gli studi rilevano che il disturbo depressivo maggiore sia multifattoriale.
I fattori eziologici che interagiscono tra loro sono di tipo genetico, biologico e psicosociale.
La depressione è una patologia che deriva quindi dalla combinazione di fattori che interagiscono tra loro e che varia da persona a persona.
Questi fattori possono dunque essere raggruppati in tre categorie principali: i fattori genetici, biologici e psicosociali.
Si manifesta prevalentemente nelle persone di sesso femminile ed ha una forte componente ereditaria.
Tra i fattori biologici sembra che i pazienti depressi abbiano delle alterazioni nella regolazione di alcuni neurotrasmettitori (nella regolazione di serotonina e noradrenalina) ed ormonali, che concorrono allo sviluppo dei sintomi del disturbo (affettivi, alcune funzioni cognitive, regolazione del sonno e dell’appetito).
A livello genetico inoltre diversi studi mostrano una familiarità del disturbo: famigliari di primo grado di pazienti depressi possono sviluppare depressione maggiore con un rischio da 2 a 4 volte maggiore rispetto alla popolazione generale.
Sembra che l’ereditarietà del disturbo sia del 40%.
Questo significa semplicemente che chi ha famigliari di primo grado depressi è più vulnerabile, ma affinché si sviluppi il disturbo sono necessari anche fattori psicosociali.
Tra gli eventi ambientali, precipitanti l’esordio di un disturbo depressivo maggiore, vi sono perdite irreversibili ed irreparabili come malattie fisiche a sé o di una persona cara, separazioni coniugali, difficoltà nei rapporti famigliari o di coppia, lutti, rapporti conflittuali, licenziamenti, la bocciatura scolastica.
Importante fattore di rischio sembra essere l’aver vissuto esperienze avverse durante l’infanzia.
Ed è in questa sede che è bene ricordare come tra le malattie precipitanti il disturbo, siano presenti anche altri disturbi psichiatrici. E’ in questi casi che si parla di depressione secondaria.
La predisposizione genetica o fisiologica dell’individuo e quella psicologica ed ambientale interagiscono dunque tra loro.
Va detto che allo stesso modo dei fattori ambientali precipitanti, vi possono essere anche fattori protettivi, ovvero elementi di vita dell’individuo che permettono alla vulnerabilità alla depressione di non manifestarsi. Un esempio è l’essere parte di una rete sociale supportiva.
Curare la depressione maggiore
La psicoterapia cognitivo comportamentale si pone come obiettivi non solo la cura dei sintomi acuti ma anche di prevenirne le ricadute dato il carattere ricorrente del disturbo.
Tale terapia prevede l’uso sinergico di tecniche tanto cognitive quanto comportamentali.
Prima di poter analizzare con il paziente i meccanismi cognitivi che mantengono e generano il disturbo è buona norma iniziare con le tecniche comportamentali volte a riattivare alcune attività quotidiane.
E’ importante sottolineare come l’impegnarsi in attività finalizzate permette già di per sé un miglioramento dell’umore che consente di poter affrontare meglio le modalità di pensiero del paziente con i contenuti cognitivi che lo caratterizzano, i pensieri pessimistici sul futuro (“Non guarirò mai, non cambierà mai nulla”) e sulle proprie capacità (“Non ce la farò mai, non sarò in grado”) in primis.
Già sul piano comportamentale è infatti possibile constatare un primo circolo vizioso tra la riduzione delle attività che porta ad un’ulteriore riduzione della motivazione, una percezione di stanchezza e mancanza di energie che conduce a far sempre meno rendendo sempre più difficile la possibilità di sperimentare e nutrire emozioni piacevoli, quindi un ulteriore aggravamento del tono dell’umore.
Se a questo aggiungiamo la valutazione di sé come incapace, difettoso o anche solo banalmente pigro, si aggiungono i sensi di colpa e di fallimento.
Sforzarsi di riprendere a svolgere anche piccole e semplici attività piacevoli aiuta a constatare come non solo l’intera giornata si possa colorare di emozioni di tonalità differenti ma anche come la ruminazione con pensieri negativi possa essere, seppur momentaneamente, interrotta.
In condizioni di medio-alta gravità del disturbo il terapeuta si avvale della collaborazione di uno psichiatra per affiancare la psicoterapia ad una terapia farmacologica volta ad agevolare il miglioramento della riattivazione comportamentale e dell’umore e quindi l’evolversi del percorso di cura.
Il target di lavoro diviene quindi poi lo svelamento dei meccanismi cognitivi che sostengono e mantengono il disturbo.
Si elicitano quindi man mano i circoli viziosi che vedono gli schemi su sé, mondo e futuro, influenzare il pensiero negativo impegnandolo nel processo ruminativo (una sorta di criceto nella testa che ripete ciclicamente e senza sosta gli stessi pensieri, in una corsa senza fine), lo portano a selezionare e distorcere gli elementi delle esperienze che vive e condiziona così i comportamenti disfunzionali del paziente: il ritiro sociale, le modalità di comunicazione e quindi la qualità delle relazioni interpersonali, nonché quelle di risoluzione delle difficoltà quotidiane che normalmente avvengono nel quotidiano.
Obiettivi della terapia
L’obiettivo è che il paziente riacquisti un paio di lenti nuove, con la quale poter guardare al mondo in modo funzionale.
In fase finale viene dato rilievo alla prevenzione delle ricadute.
I protocolli dimostratisi efficaci a questo scopo includono tecniche di terapia cognitivo-comportamentale standard, tecniche CBT integrate alla mindfulness (ad esempio protocollo MBCT) e un approccio integrato con la Schema Therapy.
Altri disturbi depressivi
Oltre al disturbo depressivo maggiore, tra i disturbi dell’umore altri disturbi depressivi diagnosticabili sono:
- Il disturbo depressivo persistente (distimia)
- il disturbo disforico premestruale
- Il disturbo depressivo indotto da sostanze/farmaci
- Il disturbo depressivo dovuto ad altra condizione medica presente
- Il disturbo depressivo con altra specificazione
- Il disturbo depressivo senza specificazione
L’obiettivo della psicoterapia cognitivo comportamentale nella cura della depressione è la rottura dei circoli viziosi tra i pensieri negativi e i sintomi tipici del disturbo depressivo.