Disturbi d’ansia: cosa sono e come curarli con la Psicoterapia
L’ansia, questa sconosciuta… C’è chi convive con un stato ansioso per molto tempo, chi non comprende il motivo per cui arriva a sentirsi così, chi non riesce a mettervi un freno e chi soffre di tutte le precedenti. Punto di partenza fondamentale è che l’ansia è una normale reazione emotiva dell’organismo innanzi ad una minaccia.
Certo è più facile accettarla quando la minaccia è riconoscibile. E’ comune sentire parlare di ansia da prestazione ad esempio, ove la minaccia in gioco è il buon esito di un esame. Ma le cose importanti per l’essere umano possono essere davvero molte: dal rischio di perdere una persona cara o essere lasciati, il timore di perdere il lavoro o di non ottenerlo se ci stiamo apprestando a sostenere un colloquio, di fare una figuraccia, di fallire… insomma: di cadere e farci male.
L’ansia come sistema d’allarme
Quando in gioco c’è qualcosa di importante il nostro organismo ci avvisa che stiamo rischiando di perderlo o non ottenerlo. Un eccellente sistema di allarme.
Come installiamo un antifurto dopo che i vicini sono stati derubati per garantirci sicurezza in un contesto che è cambiato; l’ansia ci permette di adattarci a cambiamenti, assumendo le condotte più idonee per farvi fronte.
Disturbi d’Ansia: sintomi
I sintomi fisiologici, ovvero i segnali di attivazione fisica che caratterizza tale stato emotivo, sono tipicamente:
- tachicardia
- disturbi addominali, sensazione di stomaco sottosopra o nausea
- fastidio al petto, senso di costrizione
- respiro affannoso
- tensione muscolare
- secchezza della gola
- irrequietezza
Tali sintomi hanno una spiegazione filogenetica, quando la minaccia consisteva in predatori che attentavano alla nostra vita per sfamarsi. Il corpo ha bisogno di essere predisposto ad attivarsi per salvarsi: fuggire, attaccare e, in alcuni casi, fingere di essere morto (la risposta cosiddetta di freezing).
Per quanto evolutici rispetto ad ere precedenti tanto da poter avere difficoltà ad immaginare l’essere umano preda di un leone, fortunatamente non si è estinta in noi questa importante reazione con funzione di allarme. La spia sullo schermo della nostra mente indica “Attenzione: rischio di subire un danno“.
Se riconosciuto, vien da sé che tenderemo ad agire per far sì che ciò non accada o, quantomeno, a limitarne gli effetti, ripristinando la tranquillità precedente e garantendoci un sollievo.
Ad oggi l’uomo si preoccupa: si crea cioè scenari con esiti negativi rispetto a come desidera vadano le cose, talvolta dimenticando si tratti pur sempre di scenari possibili prodotti dalla nostra mente e non realtà.
Saper gestire al meglio l’ansia in questi casi, significa non solo riconoscerla come segnale di quanto per noi è importante ma anche sfruttare l’energia che predispone in noi per garantirci di raggiungere l’obiettivo.
Una sana gestione dell’ansia permetterebbe così di impegnarsi a studiare, concentrarsi durante l’esame e dirigere l’attenzione sulle domande poste e le risposte più pertinenti da dare.
Quando si può parlare di disturbo d’ansia?
Quando nella realtà esterna non ci sono prove sufficienti ed evidenti a supporto di una minaccia, allora il nostro sistema di allarme sta suonando per errore. E’ diventato cioè troppo sensibile, tanto da scambiare un soffio di aria improvvisa per un ladro.
E’ il caso in cui si ritiene una minaccia inesistente come molto probabile, si crede che il suo verificarsi implicherà gravi conseguenze, intollerabili e senza risoluzione.
Salkovskis (1985) ha formulato una semplice operazione che racchiude queste variabili e permette di rivalutare l’intensità dell’ansia provata:
probabilità stimata dell’evento temuto x gravità stimata dell’evento temuto
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tollerabilità personale x risorse per far fronte alla minaccia
Quando il contesto esterno non giustifica il vissuto ansioso, gli episodi sono frequenti, l’ansia provata è intensa e la qualità di vita è ostacolata, se non addirittura ridotta da un frequente evitamento delle situazioni temute, allora possiamo parlare di disturbo d’ansia.
Un’ansia patologica fa quindi sì che, tornando al nostro studente, abbia un rifiuto per la preparazione dell’esame, eviti di presentarsi all’esame o si presenti dopo aver studiato molto ma abbia un blackout totale.
Quali sono i disturbi di ansia?
Tra i disturbi di ansia si distinguono:
- Attacco di panico: disturbo d’ansia che si caratterizza per l’instaurarsi di sintomi d’ansia nell’arco di un breve lasso di tempo e ad elevata intensità.
- Fobia sociale: disturbo d’ansia che si caratterizza per un’alta preoccupazione che si presenta ogni qual volta ci si debba trovare in situazioni sociali o prestazionali, ove cioè ci si sente esposti alla presenza e al giudizio di altri che non si conoscono bene o affatto.
- Fobia specifica: paura immediata, intensa e persistente nei confronti di un oggetto, animale o situazione specifica. La persona che ne soffre nutre una paura immediata innanzi all’oggetto o alla situazione temuta, nonché ansia alla sola idea di trovarvisi dinnanzi.
- Ipocondria: disturbo d’ansia che si caratterizza per la paura persistente e la convinzione ingiustificata di essere affetto da una malattia fisica.
- Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC): disturbo d’ansia caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni. La persona che soffre di disturbo ossessivo compulsivo (DOC) vive ansia ogni qual volta gli si presentino alla mente immagini, impulsi o pensieri, o si trovi innanzi a situazioni che teme si tramutino in sgradevoli o tragiche conclusioni.
- Disturbo post-traumatico da stress: disturbo postumo ad un’esperienza intensamente stressogena per l’individuo, tipicamente caratterizzato dall’aver un rischio per la propria incolumità.
Terapia del disturbo ansioso: curare l’ansia
Spesso chi ne soffre richiede di eliminarla dai propri vissuti quotidiani, ma non è una richiesta che il terapeuta può accettare. Essendo una sana, funzionale e protettiva risposta innata dell’essere umano, toglierla lascerebbe sprovvisto l’individuo di una risorsa fondamentale al bisogno.
Se anche fosse possibile, e fortunatamente non lo è, l’individuo rischierebbe di morire non scappando davanti ad un pericolo reale, o di assumere atteggiamenti controproducenti al contesto.
Se riteniamo infatti che quell’emozione vada annientata, significa che non l’accettiamo reputandola ad esempio sintomo di debolezza personale, di inadeguatezza, di incapacità.
Sicuramente però possiamo imparare a gestirla meglio.
La terapia cognitiva comportamentale aiuta il paziente ad assumere una prospettiva più realistica rispetto alle quattro variabili individuate nell’equazione sopra esposta, a partire dalle idee del paziente di intollerabilità dell’ansia.
Tali credenze non fanno altro che aumentare il livello di emozione vissuta così come le soluzioni che nella maggior parte dei casi i pazienti adottano:
- l’evitamento (“se non vado non andrò in ansia” che rinforza l’idea per cui “se non ci vado allora è vero che sarebbe pericoloso andarci“)
- avvalersi del rassicurante “accompagnatore fobico” (che rinforza però l’idea per cui “da sola/o non sarei in grado“).
Al contempo, con l’impegno del paziente, si esercitano abilità volte al “saper stare” con sensazioni spiacevoli, in modo da poter “evitare di evitare” la situazione tanto temuta e verificare le proprie idee in merito.
La terapia si focalizzerà quindi sull’acquisizione di risorse di accettazione e gestione dell’ansia e dei suoi sintomi, tecniche di esposizione alla/e situazione/i temuta/e, tecniche cognitive di distanza critica dai pensieri disfunzionali e loro sostituzione con un pensiero realistico nonché dei frequenti errori di pensiero che in tali disturbi si riscontrano.