Sintomi e cura del disturbo da accumulo.
Coloro che soffrono di disturbo da accumulo hanno una severa difficoltà a separarsi dai propri beni o a gettarli, anche se privi di un valore affettivo o reale.
Non si tratta di persone che si ritrovano con la cantina o il box saturi di oggetti accatastati negli anni o dopo, ad esempio, aver ricevuto un’eredità.
Queste persone sentono il bisogno di accumulare oggetti, lo fanno intenzionalmente e provano un forte disagio alla sola idea di gettarli o che qualcuno, al posto loro, si occupi di farlo.
I motivi che solitamente apportano per la loro condotta sono relativi a fattori estetici, ad una supposta utilità, al legame affettivo o al timore di perdere informazioni (quando quanto accumulato ha a che fare con riviste, libri, giornali…).
La mole di oggetti accumulata viene inoltre accatastata in spazi vitali. Ciò significa che gli spazi di casa utili ai bisogni primari quali cucinare, mangiare o dormire non possono essere utilizzati poiché colmi degli oggetti accumulati.
L’utilizzo previsto per tali spazi viene impedito o reso difficile dall’accumulo disorganizzato di ogni sorta di bene.
Ciò comporta non solo la mera difficoltà di muoversi all’interno della propria casa, ma talvolta giunge a mettere a rischio la vita del paziente stesso: per motivi igienici, per il rischio di inciampare e cadere (soprattutto per gli anziani) sino al rischio di incendio.
Nei gravi casi l’impossibilità di viversi casa include perfino il distacco delle utenze di acqua ed elettricità, anche solo perché non vi è l’accesso ai lavori di riparazione.
Se ne evince il livello di compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o in altre aree importanti di vita (tra cui per l’appunto la non garanzia di un ambiente di vita sicuro per sé e gli altri).
Frequenti sono le frizioni interpersonali con i famigliari in primis, ai quali appare evidente il disagio del caro che soffre di disturbo da accumulo.
Non sempre infatti questi pazienti sono consapevoli del loro disagio e tra gli specificatori di questa diagnosi vi è il livello di insight che l’individuo ne ha: con insight buono o sufficiente quando riconosce nei propri sintomi (accumulo e fatica a gettare) un problema, con insight scarso o assente (o con convinzioni deliranti) quando rispettivamente abbastanza e più che sicuro che le convinzioni e i propri comportamenti legati all’accumulo non siano problematici.
Caratteristiche disturbo da accumulo
Tra le caratteristiche personologiche comuni a quanti soffrono del disturbo da accumulo si sono riscontrate:
- indecisione
- perfezionismo
- evitamento
- procrastinazione
- difficoltà di pianificazione ed organizzazione di attività
- distraibilità
Circa l’80/90% dei pazienti affetti da questo disturbo presenta inoltre eccessiva acquisizione, ovvero acquisto eccessivo, accettazione o ricerca di beni gratuiti (offerti o gettati da altri).
Per quanto non vi siano studi rappresentativi relativi ai numeri di prevalenza del disturbo, si stima che tra il 2 ed il 6 % della popolazione generale, senza differenza di genere, accusi questa patologia.
Evidenze mostrano sia più frequente nella popolazione anziana (dai 55 anni in su) rispetto ai giovani (tra i 34 e i 44 anni).
L’esordio tuttavia sembra avere origine precoce, intorno ai 15 anni, iniziando ad interferire con le normali attività solo a partire dai 20 anni e causando un’effettiva compromissione di funzionamento dai 30 anni in su. Ciò significa che il disturbo si aggrava ad ogni decade di vita e che il disturbo mostra un decorso cronico.
Tra i fattori di rischio che possono portare un individuo a soffrirne si riscontrano fattori ambientali quali l’aver vissuto periodi di vita stressanti o traumatici, temperamentali (l’essere indecisi) oltre che essere un disturbo a componente genetica.
Sembra infatti che il comportamento da accumulo sia ereditario ed il 50% di chi ne soffre abbia parenti che accumulano.
A parità di comportamenti da acquisizione e accumulo, non si può parlare di disturbo da accumulo se questi vengono messi in atto a seguito di altre condizioni mediche quali l’aver subito un trauma cranico, una resezione chirurgica per il trattamento di tumori o crisi epilettiche né se il paziente soffre di disturbi cerebrovascolari, infezioni del sistema nervoso centrale o condizioni neurogenetiche.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale può aiutare questi pazienti a:
- aumentare l’insight sul disturbo, trattandosi di pazienti che in genere negano di avere un problema
- alimentare costantemente una motivazione al trattamento
- affrontare e gestire i frequenti vissuti emotivi di rabbia e vergogna
- avvalersi di tecniche comportamentali di esposizione e prevenzione della risposta volte in prima battuta ad esporsi gradualmente al disagio esperito anche alla sola idea di gettare un oggetto. Per questo disturbo le sole sedute in studio non sono sufficienti ed è anzi necessario condurle in loco, nella casa del paziente
- incremento della gestione emotiva del disagio
- svelamento delle convinzioni disfunzionali soggiacenti il comportamento da accumulo e loro sostituzione con modi di pensare più funzionali ad una qualità di vita soddisfacente
- acquisizione di abilità decisionali e di organizzazione
A tutto ciò si affianca spesso una terapia di sostegno ai famigliari del paziente, tipicamente i primi a richiedere aiuto nonché gli invianti del paziente.
Prima di portarlo in terapia, frequenti infatti sono stati i tentativi da loro messi in atto per risolvere la condotta dell’accumulatore, imbattendosi in liti, con esiti scarsi ed alti livelli di rabbia, frustrazione, risentimento, imbarazzo e tristezza.
Il sostegno ai famigliari mira a supportarli nei vissuti emotivi ma anche a fornir loro gli elementi per comprendere la patologia del loro caro, per attenuarne i vissuti emotivi e ridurre l’immagine fortemente negativa che di lui hanno sviluppato negli anni.